Giugno 25, 2025

Assegno di mantenimento al coniuge: evoluzione giurisprudenziale e chiarimenti sulla presunta abolizione

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Assegno di mantenimento al coniuge: evoluzione giurisprudenziale e chiarimenti sulla presunta abolizione

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Il diritto di famiglia rappresenta uno degli ambiti giuridici più dinamici e soggetti a cambiamenti nella giurisprudenza italiana. La disciplina dell’assegno di mantenimento al coniuge è oggetto di continua evoluzione interpretativa, riflettendo i mutamenti sociali e culturali che interessano l’istituto matrimoniale. La legge 898/1970 (divorzio) e successive modifiche hanno definito un quadro normativo in costante aggiornamento attraverso sentenze che ridisegnano i confini della materia. Per navigare questa complessa normativa, la consulenza di uno studio legale Firenze specializzato diventa essenziale per tutelare adeguatamente i propri diritti patrimoniali nelle fasi di separazione e scioglimento del vincolo coniugale.

 

Assegno di mantenimento al coniuge: dal tenore di vita all’autosufficienza economica

La rivoluzionaria sentenza della Corte di Cassazione n. 11504 del 10 maggio 2017 ha segnato un punto di svolta fondamentale nella disciplina dell’assegno di divorzio in Italia. Per circa trent’anni, il parametro di riferimento per la determinazione dell’assegno è stato il tenore di vita matrimoniale, criterio che garantiva al coniuge economicamente più debole la possibilità di mantenere lo stesso standard di vita goduto durante il matrimonio. La nuova pronuncia ha radicalmente modificato questa impostazione, introducendo come criterio determinante l’autosufficienza economica del richiedente. Questo significa che il diritto all’assegno di mantenimento non viene più riconosciuto automaticamente, ma solo quando il coniuge non dispone di mezzi adeguati per sostenersi autonomamente o non può procurarseli per ragioni oggettive.

Il cambio di prospettiva riflette l’evoluzione della società e della concezione del matrimonio. Non si tratta più di preservare una condizione acquisita attraverso il vincolo matrimoniale, ma di garantire l’indipendenza economica e la dignità personale dopo la fine del rapporto coniugale. La Cassazione considera ormai gli ex coniugi come “persone singole” e non come parte di un legame che, seppur terminato, continua a produrre effetti economici automatici.

Questo approccio risponde a un principio di autoresponsabilità: ogni individuo, dopo il divorzio, deve attivarsi per raggiungere la propria autonomia finanziaria. Il semplice stato di disoccupazione non è più sufficiente per ottenere il mantenimento se il richiedente è rimasto inerte, non cercando attivamente un’occupazione. In tali circostanze, l’erogazione dell’assegno potrebbe addirittura configurare un illegittimo arricchimento a favore del beneficiario.

L’impostazione introdotta dalla Cassazione del 2017 sottolinea che l’interesse tutelato non è più il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento di una condizione di indipendenza per ciascuno di essi, rendendo così superflue le valutazioni comparative tra le loro situazioni patrimoniali.

 

Divorzio e mantenimento moglie: i criteri di valutazione dell’autonomia patrimoniale

Per stabilire se sussiste l’indipendenza economica necessaria a escludere il diritto all’assegno di mantenimento, i tribunali valutano una serie di elementi oggettivi e soggettivi. Il punto centrale è verificare se il coniuge richiedente disponga di risorse sufficienti per condurre un’esistenza libera e dignitosa, non più parametrata al precedente tenore di vita matrimoniale.

I fattori principali considerati nella valutazione dell’autonomia patrimoniale includono innanzitutto i redditi propri del richiedente, derivanti da attività lavorativa, pensioni o rendite. Si esaminano poi i patrimoni mobiliari (conti correnti, investimenti, titoli) e immobiliari (proprietà di case, terreni o altri beni immobili) di cui dispone. Grande rilevanza assume anche la stabile disponibilità di un’abitazione, che può derivare da proprietà, usufrutto o altri diritti reali.

Un elemento cruciale introdotto dalla giurisprudenza recente è la valutazione delle capacità lavorative e delle possibilità effettive di ottenere un’occupazione. Il giudice deve considerare l’età, il livello di istruzione, le competenze professionali, le esperienze lavorative pregresse e le condizioni del mercato del lavoro nel contesto territoriale specifico. Questo esame va oltre la mera situazione attuale, spingendosi a valutare le potenzialità future del soggetto di raggiungere l’autosufficienza.

La valutazione non si limita agli aspetti meramente economici, ma tiene conto anche di fattori personali che possono ostacolare il raggiungimento dell’autonomia: problemi di salute, età avanzata, carichi familiari come la cura di figli minori o familiari non autosufficienti. Questi elementi possono giustificare il riconoscimento dell’assegno anche in presenza di una teorica capacità lavorativa.

L’onere della prova ricade sul richiedente, che deve dimostrare non solo l’inadeguatezza dei propri mezzi economici, ma anche l’impossibilità oggettiva di procurarseli. Non basta quindi lamentare uno stato di disoccupazione, ma occorre provare di essersi attivamente impegnati nella ricerca di un’occupazione senza risultati, per ragioni indipendenti dalla propria volontà.

 

Assegno mantenimento moglie ultime sentenze: impatti concreti sulla vita post-matrimoniale

Le recenti pronunce giurisprudenziali sull’assegno di mantenimento hanno prodotto conseguenze concrete significative nella vita delle persone dopo il divorzio. Con la sentenza 18287/2018, le Sezioni Unite della Cassazione hanno parzialmente corretto l’orientamento del 2017, attribuendo all’assegno una triplice funzione: assistenziale, compensativa e perequativa. Questo significa che il tribunale deve valutare non solo l’inadeguatezza dei mezzi economici del richiedente, ma anche il contributo fornito alla vita familiare e alla formazione del patrimonio durante il matrimonio.

L’impatto più evidente di questa evoluzione giurisprudenziale è il superamento dell’idea del matrimonio come “sistemazione a vita”. Le coppie affrontano ora la prospettiva della separazione giudiziale con maggiore consapevolezza della necessità di mantenere o sviluppare una propria autonomia economica. La concessione dell’assegno avviene solo in caso di necessità oggettive e comprovate, non come automatismo basato sul precedente tenore di vita.

Per molti ex coniugi economicamente più forti, questo cambiamento ha significato la riduzione o eliminazione dell’obbligo di mantenimento, permettendo loro di pianificare con maggiore serenità una nuova vita familiare. D’altra parte, per i coniugi economicamente più deboli, specialmente quelli che hanno rinunciato alla carriera per dedicarsi alla famiglia, questa evoluzione ha rappresentato una sfida significativa, richiedendo un maggiore impegno nel reinserimento nel mondo del lavoro.

Si registra anche un incremento delle conciliazioni e degli accordi consensuali tra coniugi, che cercano di prevenire contenziosi costosi e duraturi stabilendo autonomamente condizioni economiche eque. Molti patti prematrimoniali, pur non essendo formalmente riconosciuti nell’ordinamento italiano, vengono ora redatti per regolamentare in anticipo gli aspetti patrimoniali in caso di divorzio.

Un effetto collaterale positivo è stata la maggiore attenzione alla formazione professionale continua e al mantenimento dell’occupabilità anche durante il matrimonio, come forma di tutela preventiva. Le donne, tradizionalmente più penalizzate dalla rinuncia alla carriera per ragioni familiari, mostrano una crescente consapevolezza dell’importanza di preservare la propria indipendenza economica.

Nuova sentenza cassazione assegno di mantenimento: confronto con gli standard europei

La sentenza della Cassazione n. 11472/2021 ha ulteriormente precisato che la “funzione equilibratrice” dell’assegno di mantenimento non mira a ricostituire il tenore di vita matrimoniale, ma a riconoscere il contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio familiare. Questo orientamento avvicina progressivamente l’Italia agli standard europei, dove prevale un approccio orientato all’autonomia post-matrimoniale, benché il nostro Paese resti ancora più garantista verso il coniuge debole rispetto ad altre nazioni.

In Germania, il diritto al mantenimento è drasticamente limitato a un solo anno, periodo ritenuto sufficiente per “rimettersi in sesto” dopo la separazione. Questo termine può essere prolungato solo in presenza di specifiche condizioni come l’età avanzata, problemi di salute o la cura dei figli. L’assegnazione della casa familiare segue criteri similmente restrittivi, privilegiando l’interesse dei figli minori e considerando solo secondariamente le esigenze degli ex coniugi.

L’Olanda prevede un diritto al mantenimento limitato a tre anni, mentre in Romania l’assegno non è obbligatorio, viene concesso solo per un anno e esclusivamente in caso di gravi condizioni di salute. La Spagna ha un sistema in cui al coniuge non spetta alcun diritto automatico al mantenimento, ma al massimo una somma temporanea per far fronte alle spese alimentari essenziali.

Questi confronti evidenziano come l’Italia, nonostante l’evoluzione giurisprudenziale degli ultimi anni, mantenga ancora un approccio più protettivo verso il coniuge economicamente svantaggiato. La differenza fondamentale rispetto ad altri paesi europei risiede nella durata potenzialmente illimitata dell’assegno divorzile italiano, che può persistere fino alla morte del beneficiario o fino alle sue nuove nozze.

Gli ordinamenti europei prediligono invece soluzioni temporanee, finalizzate a fornire un supporto transitorio per consentire al coniuge di raggiungere l’autonomia economica, riflettendo una concezione del matrimonio come vincolo che, una volta sciolto, non comporta obbligazioni economiche permanenti. Questa impostazione promuove una maggiore responsabilizzazione individuale e una visione del divorzio come cesura netta anche sotto il profilo patrimoniale.

 

L’evoluzione del diritto familiare italiano in materia di sostegno economico post-divorzio

La disciplina dell’assegno di mantenimento al coniuge ha subito una significativa evoluzione nel corso degli ultimi decenni, riflettendo i cambiamenti della società italiana e delle relazioni familiari. Prima della sentenza della Cassazione del 2017, l’impostazione prevalente era fortemente ancorata alla protezione del coniuge economicamente più debole, garantendogli la conservazione del tenore di vita matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo.

Il Tribunale di La Spezia, con la sentenza 62/2021, ha ribadito la natura composita dell’assegno divorzile, evidenziando come questo risponda a finalità assistenziali, compensative-perequative e persino risarcitorie in alcuni casi. Questa impostazione riconosce che il contributo alla famiglia non si esaurisce nell’apporto economico diretto, ma comprende anche il lavoro domestico, la cura dei figli e il sostegno alla carriera del partner.

Una questione cruciale emersa nella giurisprudenza recente riguarda il bilanciamento tra l’esigenza di tutelare il coniuge che ha sacrificato opportunità professionali per la famiglia e la necessità di evitare situazioni di ingiustificato mantenimento a tempo indeterminato. La sentenza 523/2020 del Tribunale di La Spezia ha chiarito che “il diritto all’assegno divorzile è precluso a chi disponga di redditi sufficienti a condurre un’esistenza libera e dignitosa” e non possa dimostrare di aver contribuito all’arricchimento dell’altro coniuge.

Le corti italiane stanno progressivamente adottando un approccio più equilibrato e personalizzato, che considera le specifiche circostanze di ciascun caso: la durata del matrimonio, l’età dei coniugi, le loro condizioni di salute, le scelte di vita compiute durante l’unione e le prospettive future di autonomia economica. Questo approccio case-by-case riconosce che non esiste una soluzione universale applicabile a tutte le situazioni di divorzio.

La tendenza attuale mostra un graduale avvicinamento agli standard europei, pur mantenendo alcune peculiarità del sistema italiano. L’obiettivo principale resta quello di garantire condizioni di vita dignitose a entrambi gli ex coniugi, promuovendo al contempo la loro indipendenza economica e il superamento definitivo dei legami patrimoniali derivanti dal matrimonio ormai disciolto.

15 risposte

  1. Che differenza c’è tra questa sentenza della Cassazione e la sentenza 11870/2015 sempre della Cassazione?

    1. Buonasera,
      sono due casi diversi (qui la moglie lavorava e diceva di non lavorare).
      Il principio comunque rimane lo stesso.

  2. Buongiorno, Avvocato Lorenzo Cirri. Per una sentenza di assegno divorzile, datata 1998, c’è la possibilità’ di richiedere la restituzione?Grazie.

    1. Buonasera.
      No. La restituzione no.
      Ma intanto faccia ricorso con effetti dal deposito del ricordo.
      Avv. Cirri

  3. Sono divorziato con sentenza parziale la mia ex moglie ha chiesto 300€ di assegno divorzile…lei non ha mai lavorato ma convive presso casa dei suoi con i miei figli e anche il suo compagno da un verbale di ascolto dei minori ma in un altro processo i miei figli dicono di convivere con i nonni la mamma e il suo compagno, posso fare ricorso per toglierle la 50€ di mantenimento per moreuxorio?

    1. Buondi.
      Avrei altre domande da farle ma in linea di massima direi che può farlo!

  4. Salve avvocato la mia ex moglie e andata subito a convivere e di tre figli che doveva tenere cn se ne ha avuto sempre uno gli altri hanno abitato cn me ora mi ha inviato un atto di precetto di 35000.00 chiedendo anche i soldi dei figli che non ha mai avuto con se cosa posso fare?

    1. Buongiorno
      Un bel problema!
      Avrebbe dovuto chiedere modifica assetto familiare e economico.
      Ora è il momento di difendersi.
      Mi chiami il 3….
      Avv. Cirri

  5. Sono divorziato dò alla mia ex moglie un assegno divorzile di Euro 300 ci tengo a precisare che lei è proprietaria di due grandi appartamenti in uno ci abita nell’altro vive sua madre gratuitamente.posso richiedere la diminuzione o l’annullamento dell’assegno divorzile.

  6. Mia ex moglie proprietaria di due case una labita lei l’altra vive sua madre senza pagare affitto.io le do un assegno divorzile di 300euro e possibile chiedere di diminuirlo. Grazie

    1. Buongiorno,
      per valutare se ci sono i presupposti dovremmo incontrarci e analizzare tutti i particolari.
      L’assegno non è alto e pertanto prima di spendere soldi in una causa è meglio essere prudenti nella valutazione.
      Avv Cirri

  7. Salve avvocato, sono separato dal 2/12/2014 e, dovevo versare la somma di euro 300 quale contributo di mantenimento alla mia ex soli quando lei lasciava la casa coniugale, come disposto dal tribunale. La stessa lasciava la casa coniugale il 2/5/2017, senza però lasciarmi nessun recapito nemmeno un IBAN dove io potessi versare i soldi, inutili sono stati i tentativi di farla ragionare. Il 20/4/2018 la mia ex mi denuncia perché io non versato i soldi. Premetto che la stessa convive stabilmente da più di un anno e mezzo con il suo compagno ove ha preso anche la residenza, lavora con regolare contratto, è proprietaria del 50% dell’ abitazione coniugale e in più ha altre proprietà pro cuore intestate. Cosa posso fare?

    1. Buonasera,
      deve trovare subito un avvocato per difendersi !!
      Prima possibile…

  8. il mio ex non puo piu darmi l’assegno divorilzista perché prende un assegno sociale di 752€ mi dava 500€ ma il tribunale non ha accettato che smettesse perché al momento del divorzio abbiamo detto chemi avrebbe dato i 500. io non posso prendere la pensione sociale anche se non può più darmeli che bisogna fare

    1. Buonasera
      Le consiglio di sentire il suo avvocato di fiducia.
      Per capire meglio cosa fare.
      Servono più informazioni.
      Grazie per aver scritto
      Lorenzo Cirri

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Giugno 25, 2025
Cateogoria

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