Con deontologia, ci si riferisce al complesso di regole di condotta che devono essere rispettate nell’esercizio dell’attività professionale.
In particolar modo, gli avvocati che operano nell’ambito del diritto di famiglia devono, dunque, declinare i principi generali di cui alla legge forense e al codice deontologico con particolare intensità e specificità poiché devono provvedere a tutelare le parti che rappresentano nel rispetto dell’interesse primario dei minori coinvolti.
L’esercizio dell’attività professionale deve essere fondato sull’autonomia e sull’indipendenza dell’azione nonché del giudizio intellettuale e deve essere ispirato ai principi di lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza, competenza.
L’avvocato ed il diritto di famiglia
I principi elencati rilevano soprattutto rispetto a chi esercita la professione nell’ambito del diritto delle relazioni familiari; l’avvocato familiarista, nell’esercizio della sua funzione, deve far propri questi principi, poiché l’accoglienza, la valutazione e l’ascolto delle persone che si rivolgono a lui, hanno una particolare importanza.
Egli non deve essere un semplice tramite per l’esercizio dei diritti ma deve saper consigliare lo strumento giurisdizionale da utilizzare in maniera più appropriata nell’interesse primario delle parti.
Per altro verso è però di fondamentale importanza che l’avvocato non si identifichi con il cliente e con le sue “pretese”: il professionista dovrà saper gestire le emozioni delle persone filtrandole con la ragione e la conoscenza degli strumenti processuali.
Sul punto una decisione del Consiglio Nazionale Forense ha stabilito “l’avvocato deve porre ogni rigoroso impegno nella difesa del proprio cliente, ma tale difesa non può mai travalicare i limiti della rigorosa osservanza delle norme disciplinari e del rispetto che deve essere sempre osservato nei confronti della controparte, del suo legale e dei terzi, in ossequio ai doveri di lealtà e correttezza e ai principi di colleganza (CNF, n. 130/2013)”.
Ed ancora, l’avvocato deve sempre assumere una posizione di terzietà rispetto all’assistito.
Per gli avvocati la responsabilità professionale deriva dall’obbligo di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato, che nel corso dello svolgimento del rapporto, anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, ai quali sono tenuti nel rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di chiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole (Cass. civ., n. 14597/2004; Cass. civ. n. 6782/2015).
L’avvocato familiarista ed i minori
Con il Codice Deontologico Forense (CDF) si è voluto dar rilievo a quella parte “speciale” che è il minore sottolineando la delicatezza del rapporto, adottando le cautele già ben indicate nel 2010 dalle Linee Guida del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa su una giustizia a misura del minore, riprese e ribadite anche dalla giurisprudenza di merito (Trib. Milano, sez. IX civ., ord., 23 marzo 2016).
In questa ottica il CDF ha ritenuto di formulare lo specifico art. 56, sull’ascolto del minore: atteso l’alto grado di tutela che necessita la sua audizione rispetto ad una qualsiasi altra parte processuale anche in considerazione del fatto che gli viene riconosciuto ormai il diritto di essere ascoltato.
Tale evoluzione normativa ha posto il problema del comportamento deontologico dell’avvocato che assiste i genitori nel relativo procedimento e la necessità di fissare regole comportamentali adeguate alla tutela dei diritti dei soggetti minori; in particolare, la norma si preoccupa di evitare il colloquio diretto tra l’avvocato e il minore senza il consenso degli esercenti la responsabilità genitoriale e sempre che non sussista conflitto di interessi tra minori e genitori (art. 56, comma 1).
L’avvocato del genitore nelle controversie in materia familiare o minorile, deve quindi astenersi da ogni forma di colloquio e contatto con i figli minori sulle circostanze oggetto delle stesse.